“PERSIANI” È IN SCENA DA MARTEDì 26 APRILE AL POLITEAMA ROSSETTI
- 22 Aprile 2005
- Generale
Con Persiani di Eschilo il
Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia conclude il cartellone “Prosa”
2005-2006: una stagione – la cinquantesima dell’Ente – dagli esiti
pienamente positivi inaugurata da una produzione, Re Lear,
poi molto applaudita in tutto il territorio nazionale, e ora chiusa da
un spettacolo firmato ancora dallo Stabile regionale e interpretato
dalla Compagnia del Teatro, capitanata da Piera Degli Esposti, Osvaldo
Ruggieri, Luca Lazzareschi.
Persiani rappresenta il risultato di una intensa collaborazione fra il Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia e l’Istituto Nazionale del Dramma Antico: una sinergia grazie alla quale fra il 2001 e il 2003 sono stati realizzati e presentati in scena al Teatro Greco di Siracusa quattro grandi spettacoli eschilei, la trilogia Agamennone, Coefore, Eumenidi e infine Persiani.
Firmato da Antonio Calenda, lo spettacolo – che nei mesi scorsi è stato proposto con successo in tournèe italiana – costituisce una tappa significativa nell’ambito di un articolato percorso artistico e poetico che lo Stabile del Friuli-Venezia Giulia persegue da più anni coerentemente al filone di ricerca sui nostoi, inteso come “ritorni” alle idealità e alle radici della cultura occidentale.
Una ricerca interessante lungo la quale Calenda ha condotto una notevole compagnia d’interpreti che conta sul contributo di maestri di statura ed esperienza – quali Piera Degli Esposti e Osvaldo Ruggieri – e in cui spiccano nomi quali quello di Luca Lazzareschi (reduce da un rilevante consenso di pubblico per la sua interpretazione di Edgar nel recente Re Lear), e che vanta la presenza di un “coro” – alla cui testa è Giancarlo Cortesi – che ha ormai raggiunto un’altissima espressività e un affiatamento “al respiro”.
Il confronto con l’antica e splendida drammaturgia eschilea ha svelato – anche nel caso di Persiani - plausibilità consostanziali alla sensibilità contemporanea.
Persiani è una sofferta elegia sul tema della guerra, dominata da un profondo senso di pietas: impossibile non pensare – rileggendone il testo – ai molti e violenti conflitti che, dopo millenni, continuano a infliggere sofferenza, instabilità e dolore al nostro tempo.
Persiani, che Eschilo scrisse e rappresentò ad Atene nel 472 a.C. possiede rara linearità e semplicità tecnica, e una notevole incisività e compattezza sul piano dei contenuti.
Un coro d’anziani, oppresso dalla preoccupazione per l’esito della guerra contro i Greci, ci introduce fin dall’inizio in un clima di partecipata attesa. A Susa – il luogo dell’azione – alla corte del Re di Persia, da troppo tempo infatti non giungono notizie di Serse, partito alla guida di un grande esercito e di un’immensa flotta. Anche la regina Atossa, madre di Serse e vedova del grande re Dario, è tormentata da tragici presagi che confida al coro. Finalmente un messaggero accorre da Salamina per mettere a parte della grave disfatta persiana: il suo monologo è una creazione d’immensa forza poetica e vi s’intuisce un’identificazione dell’autore con il personaggio, che offre il quadro degli orrori di Salamina come se avesse partecipato alla battaglia.
Nel racconto del Messaggero, riverbera inizialmente il risentimento verso l’ambizioso Serse, unico vero responsabile della sconfitta; egli ora ritornerà in patria, lasciando sul terreno della battaglia una moltitudine di valorosi cavalieri persiani, che il messo ricorda in un elencare incalzante, disperato. Anche l’ombra del re Dario riconoscerà apertamente nell’ambizione dei Persiani, nell’hybris di Serse, la causa di una così dura punizione divina.
L’avvento di Serse, con i segni dell’umiliazione subita, non farà altro che acuire lo smarrimento di questi piccoli uomini, davanti ai quali il giovane re cade in ginocchio, raccontando la rovina dei propri sogni. E nel ridurre a misura semplice, umana, la sofferenza di Serse, il lamento del coro fluisce senza arrestarsi.
«Un monito duro, chiarissimo, a non perdere di vista la limitatezza dell’uomo – commenta il regista - un monito alla cui efficacia Eschilo (che pure fu direttamente colpito dalla ferocia delle guerre contro i Persiani) sacrifica la possibilità di cantare l’eroismo dei suoi Greci. Conserva invece con fermezza il punto di vista dei nemici vinti, dando voce ad una dolenza d’universale validità».
Nel segno di tale universalità del messaggio eschileo, la scelta registica di alludere, attraverso le figure che si vedranno in scena, all’immaginario di quel Novecento che ci ha insegnato, al di là di ogni dubbio «come l’ideale di una pace assoluta sia pura utopia, come ogni istante di pace si riduca in realtà a un momento di placata violenza, che paradossalmente spesso va difeso con le armi… Ogni uomo oggi conosce l’inevitabile, oscuro retaggio che la guerra porta con sé: scie di depravazione e ferocia, che rendono tutti – vincitori e vinti – sofferenti, umiliate presenze di una tragica realtà».
La scenografia di Bruno Buonincontri ci porta all’interno di un museo dall’architettura settecentesca, dove è appeso a una parete e cautamente coperto da teli, qualcosa di presumibilmente prezioso: attorno al reperto si muovono attenti e preoccupati gli anziani del coro, nell’intenzione di difendere quel bene da un pericolo che dall’esterno li minaccia. Si tratta del famoso mosaico, oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, intitolato “La battaglia di Isso” che raffigura il confronto – successivo agli eventi di Salamina, conclusosi negativamente per i Persiani – fra il re Dario III e Alessandro Magno.
La guerra narrata nei versi di Eschilo, la figurazione musiva della battaglia di Isso, il conflitto che avvolge di rumori e inquietudini il museo e i protagonisti creano un moltiplicarsi di echi violenti che attraversa la storia e si perpetua, dolorosamente, fino ai nostri giorni.
«Musei, monumenti, teatri – commenta Calenda - sono cattedrali della memoria, che preservano le nostre coscienze, la nostra civiltà, dalla barbarie e dal buio. Non vi è nulla di più importante nella storia dell’uomo, della possibilità di recuperare quotidianamente, costantemente le iconografie della memoria, le identità, le radici… Perderle significherebbe perdere il senso dell’appartenenza, la dignità dell’esistere. Dovevano sentire – i Persiani, dopo la disfatta di Salamina – un senso d’assenza, di annullamento, di smarrimento simile a quello che noi proveremmo se venisse improvvisamente distrutto un monumento su cui sono radicate la nostra cultura e la nostra identità. Quel mosaico è una piccola metafora di tutto questo».
Coerenti alla linea registica, i costumi di Elena Mannini, mentre il maestro Germano Mazzocchetti ha creato suggestive musiche originali per il coro, che nello spettacolo ha un ruolo determinante. I movimenti coreografici sono stati studiati da Catherine Pantigny e le luci sono create da Nino Napoletano. La traduzione è di Monica Centanni.
Di primo livello il già citato cast: Piera Degli Esposti interpreta la Regina Atossa, Osvaldo Ruggieri l’Ombra di Dario, Luca Lazzareschi offre il proprio talento nei due ruoli fondamentali di Serse e del Messaggero. Giancarlo Cortesi è il primo corifeo di un intenso ensemble formato da Stefano Alessandroni, Francesco Benedetto, Adriano Braidotti, Stefano Galante, Claudio Tombini (gli Anziani) e completato da Laura Bussani, Sebastiano Colla, Massimo Masiello, Luciano Pasini, Corrado Russo.
Persiani di Eschilo, per la regia di Antonio Calenda è prodotto dal Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia in collaborazione con l’Istituto Nazionale del Dramma Antico Fondazione Onlus.
Lo spettacolo sarà in scena da martedì 26 aprile a domenica 1 maggio 2005; recite serali di martedì, giovedì, venerdì e sabato alle ore 20.30 e pomeridiane del mercoledì e della domenica alle ore 16.
Collateralmente alle repliche di Persiani il Teatro Stabile regionale organizza mercoledì 27 alle ore 18 un incontro con il regista e gli interpreti dello spettacolo alla Sala Bartoli: gli artisti discuteranno dell’opera eschilea e della messinscena con il pubblico e saranno a disposizione della stampa per eventuali interviste. L’incontro è a ingresso libero.
Per giovedì 28 aprile alle ore 17.30 alla libreria Minerva di Trieste è invece prevista una presentazione del libro Piera e gli assassini a cura di Rino Alessi: sarà presente l’autrice Piera Degli Esposti.
Persiani rappresenta il risultato di una intensa collaborazione fra il Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia e l’Istituto Nazionale del Dramma Antico: una sinergia grazie alla quale fra il 2001 e il 2003 sono stati realizzati e presentati in scena al Teatro Greco di Siracusa quattro grandi spettacoli eschilei, la trilogia Agamennone, Coefore, Eumenidi e infine Persiani.
Firmato da Antonio Calenda, lo spettacolo – che nei mesi scorsi è stato proposto con successo in tournèe italiana – costituisce una tappa significativa nell’ambito di un articolato percorso artistico e poetico che lo Stabile del Friuli-Venezia Giulia persegue da più anni coerentemente al filone di ricerca sui nostoi, inteso come “ritorni” alle idealità e alle radici della cultura occidentale.
Una ricerca interessante lungo la quale Calenda ha condotto una notevole compagnia d’interpreti che conta sul contributo di maestri di statura ed esperienza – quali Piera Degli Esposti e Osvaldo Ruggieri – e in cui spiccano nomi quali quello di Luca Lazzareschi (reduce da un rilevante consenso di pubblico per la sua interpretazione di Edgar nel recente Re Lear), e che vanta la presenza di un “coro” – alla cui testa è Giancarlo Cortesi – che ha ormai raggiunto un’altissima espressività e un affiatamento “al respiro”.
Il confronto con l’antica e splendida drammaturgia eschilea ha svelato – anche nel caso di Persiani - plausibilità consostanziali alla sensibilità contemporanea.
Persiani è una sofferta elegia sul tema della guerra, dominata da un profondo senso di pietas: impossibile non pensare – rileggendone il testo – ai molti e violenti conflitti che, dopo millenni, continuano a infliggere sofferenza, instabilità e dolore al nostro tempo.
Persiani, che Eschilo scrisse e rappresentò ad Atene nel 472 a.C. possiede rara linearità e semplicità tecnica, e una notevole incisività e compattezza sul piano dei contenuti.
Un coro d’anziani, oppresso dalla preoccupazione per l’esito della guerra contro i Greci, ci introduce fin dall’inizio in un clima di partecipata attesa. A Susa – il luogo dell’azione – alla corte del Re di Persia, da troppo tempo infatti non giungono notizie di Serse, partito alla guida di un grande esercito e di un’immensa flotta. Anche la regina Atossa, madre di Serse e vedova del grande re Dario, è tormentata da tragici presagi che confida al coro. Finalmente un messaggero accorre da Salamina per mettere a parte della grave disfatta persiana: il suo monologo è una creazione d’immensa forza poetica e vi s’intuisce un’identificazione dell’autore con il personaggio, che offre il quadro degli orrori di Salamina come se avesse partecipato alla battaglia.
Nel racconto del Messaggero, riverbera inizialmente il risentimento verso l’ambizioso Serse, unico vero responsabile della sconfitta; egli ora ritornerà in patria, lasciando sul terreno della battaglia una moltitudine di valorosi cavalieri persiani, che il messo ricorda in un elencare incalzante, disperato. Anche l’ombra del re Dario riconoscerà apertamente nell’ambizione dei Persiani, nell’hybris di Serse, la causa di una così dura punizione divina.
L’avvento di Serse, con i segni dell’umiliazione subita, non farà altro che acuire lo smarrimento di questi piccoli uomini, davanti ai quali il giovane re cade in ginocchio, raccontando la rovina dei propri sogni. E nel ridurre a misura semplice, umana, la sofferenza di Serse, il lamento del coro fluisce senza arrestarsi.
«Un monito duro, chiarissimo, a non perdere di vista la limitatezza dell’uomo – commenta il regista - un monito alla cui efficacia Eschilo (che pure fu direttamente colpito dalla ferocia delle guerre contro i Persiani) sacrifica la possibilità di cantare l’eroismo dei suoi Greci. Conserva invece con fermezza il punto di vista dei nemici vinti, dando voce ad una dolenza d’universale validità».
Nel segno di tale universalità del messaggio eschileo, la scelta registica di alludere, attraverso le figure che si vedranno in scena, all’immaginario di quel Novecento che ci ha insegnato, al di là di ogni dubbio «come l’ideale di una pace assoluta sia pura utopia, come ogni istante di pace si riduca in realtà a un momento di placata violenza, che paradossalmente spesso va difeso con le armi… Ogni uomo oggi conosce l’inevitabile, oscuro retaggio che la guerra porta con sé: scie di depravazione e ferocia, che rendono tutti – vincitori e vinti – sofferenti, umiliate presenze di una tragica realtà».
La scenografia di Bruno Buonincontri ci porta all’interno di un museo dall’architettura settecentesca, dove è appeso a una parete e cautamente coperto da teli, qualcosa di presumibilmente prezioso: attorno al reperto si muovono attenti e preoccupati gli anziani del coro, nell’intenzione di difendere quel bene da un pericolo che dall’esterno li minaccia. Si tratta del famoso mosaico, oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, intitolato “La battaglia di Isso” che raffigura il confronto – successivo agli eventi di Salamina, conclusosi negativamente per i Persiani – fra il re Dario III e Alessandro Magno.
La guerra narrata nei versi di Eschilo, la figurazione musiva della battaglia di Isso, il conflitto che avvolge di rumori e inquietudini il museo e i protagonisti creano un moltiplicarsi di echi violenti che attraversa la storia e si perpetua, dolorosamente, fino ai nostri giorni.
«Musei, monumenti, teatri – commenta Calenda - sono cattedrali della memoria, che preservano le nostre coscienze, la nostra civiltà, dalla barbarie e dal buio. Non vi è nulla di più importante nella storia dell’uomo, della possibilità di recuperare quotidianamente, costantemente le iconografie della memoria, le identità, le radici… Perderle significherebbe perdere il senso dell’appartenenza, la dignità dell’esistere. Dovevano sentire – i Persiani, dopo la disfatta di Salamina – un senso d’assenza, di annullamento, di smarrimento simile a quello che noi proveremmo se venisse improvvisamente distrutto un monumento su cui sono radicate la nostra cultura e la nostra identità. Quel mosaico è una piccola metafora di tutto questo».
Coerenti alla linea registica, i costumi di Elena Mannini, mentre il maestro Germano Mazzocchetti ha creato suggestive musiche originali per il coro, che nello spettacolo ha un ruolo determinante. I movimenti coreografici sono stati studiati da Catherine Pantigny e le luci sono create da Nino Napoletano. La traduzione è di Monica Centanni.
Di primo livello il già citato cast: Piera Degli Esposti interpreta la Regina Atossa, Osvaldo Ruggieri l’Ombra di Dario, Luca Lazzareschi offre il proprio talento nei due ruoli fondamentali di Serse e del Messaggero. Giancarlo Cortesi è il primo corifeo di un intenso ensemble formato da Stefano Alessandroni, Francesco Benedetto, Adriano Braidotti, Stefano Galante, Claudio Tombini (gli Anziani) e completato da Laura Bussani, Sebastiano Colla, Massimo Masiello, Luciano Pasini, Corrado Russo.
Persiani di Eschilo, per la regia di Antonio Calenda è prodotto dal Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia in collaborazione con l’Istituto Nazionale del Dramma Antico Fondazione Onlus.
Lo spettacolo sarà in scena da martedì 26 aprile a domenica 1 maggio 2005; recite serali di martedì, giovedì, venerdì e sabato alle ore 20.30 e pomeridiane del mercoledì e della domenica alle ore 16.
Collateralmente alle repliche di Persiani il Teatro Stabile regionale organizza mercoledì 27 alle ore 18 un incontro con il regista e gli interpreti dello spettacolo alla Sala Bartoli: gli artisti discuteranno dell’opera eschilea e della messinscena con il pubblico e saranno a disposizione della stampa per eventuali interviste. L’incontro è a ingresso libero.
Per giovedì 28 aprile alle ore 17.30 alla libreria Minerva di Trieste è invece prevista una presentazione del libro Piera e gli assassini a cura di Rino Alessi: sarà presente l’autrice Piera Degli Esposti.
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